Maya Patterson è a suo agio nella società, nel senso che nutre un innato interesse nei confronti dei modi di vivere delle persone, oltre che avere una spiccata abilità nel trovare soluzioni dove gli altri trovano ostacoli. Nata nel Midwest e amante di Chicago fino al midollo, Maya ad aprile si è trasferita a Oakland, in California per lavorare come designer di prodotto presso Facebook. Insieme abbiamo parlato di design della user experience, empatia, tirocini e perché ha senso seguire da vicino le abitudini degli adolescenti su Snapchat.
Create: I ruoli e le parole della tecnologia possono essere difficili da decifrare. Lavori come designer di prodotto presso Facebook: quali sono le tue mansioni?
Patterson: Mi fa piacere sentirlo perché ho l’impressione che il mio ruolo e il suo significato cambino ogni sei mesi. In questo momento, ufficialmente, lavoro come designer di prodotto presso Facebook. Se potessi rinominare questa posizione, la definirei “digital product designer”, perché non creiamo oggetti reali, piuttosto ci concentriamo sulle esperienze web. Tutto è iniziato con i computer fissi, poi i portatili, poi i dispositivi mobili, infine la realtà aumentata e virtuale, insieme a tutti questi spazi in evoluzione.
Sostanzialmente mi occupo del lato utenti, analizzo esigenze e comportamenti per sviluppare un sistema digitale che aiuti le persone a raggiungere i loro obiettivi. A seconda del mio committente, i lavori spaziano da sistemi di infografica con grandi volumi di dati alla progettazione di un metodo per la spedizione di un baule di vestiti (il mio ultimo progetto), fino alla progettazione di vari elementi dell’esperienza di Facebook, come in questo momento.
Ecco questa è la risposta più giusta, anche se spesso mi limito a dire: “Sono una web designer”. Generalmente basta questa informazione.
Da quando è stata assunta presso Facebook, Maya ha lavorato a vari progetti, fra cui alcuni effetti di realtà aumentata che consentono di provare i cosmetici tramite la fotocamera di un dispositivo.
Create: Esiste una giornata lavorativa tipo per te?
Patterson: Solitamente una giornata standard prevede alcune riunioni, momenti per pensare e lavorare: mi confronto con altre persone, creo presentazioni su Keynote, preparo mock-up su Adobe Sketch o prototipi su Farmer, oppure mi sposto in altri uffici di Facebook, svolgo ricerche sugli utenti, osservo le cose nel mondo esterno. Ecco un riassunto della mia quotidianità.
Mi trovo in un contesto interessante perché sto lavorando a vari prodotti, alcuni dei quali arrivano in produzione, come le modifiche al Composer, utilizzato per pubblicare su Facebook, e gli effetti della fotocamera, per modificare l’illuminazione e aggiungere cose al viso, mentre altri sono più concettuali, come le esperienze di realtà aumentata.
La realtà aumentata è quella cosa che nessuno sa esattamente cosa faccia o come si evolverà, perciò noi ci lavoriamo e la sosteniamo, e questo è divertente. In questo momento trascorro tanto tempo ad approfondire le ricerche sugli utenti e a parlare con i ricercatori per capire cosa secondo loro rappresenta un’enorme opportunità, poi da quelle informazioni cerco di ideare delle potenziali soluzioni, sviluppo un concept, che può essere sotto forma di prototipo grezzo o di mock-up dinamico, in modo da simulare il funzionamento dell’esperienza, oltre ad avere un’ipotesi da presentare ai manager e ai dirigenti per capire come viene percepito e se è in linea con gli obiettivi aziendali.
Create: Occorrono quindi le abilità tecniche per dar vita alle idee, ma sembra anche che molta parte del tuo lavoro sia costituita da rapporti interpersonali, sia con gli utenti che con i colleghi.
Patterson: Sì, anzi, credo per i designer di UX le soft skill siano più importanti rispetto alle competenze tecniche. Il punto di forza principale secondo me è la possibilità di comunicare con empatia.
All’inizio della mia carriera mi capitava di avere delle idee strepitose, per cui preparavo dei mock-up, progettavo soluzioni e regolarmente poi venivano rifiutate. Mi chiedevo quale fosse il problema ed era davvero frustrante, poi mi sono resa conto che non sapevo come presentarle e come veicolare la loro utilità.
Così mi sono decisa a seguire persone che sapevano comunicare molto bene. Scrivere è importante perché ti aiuta a pensare in maniera strutturata e ad articolare il tuo pensiero e le tue idee. Saper parlare, presentare, raccontare, sono abilità essenziali. Le persone che sanno dialogare in maniera costruttiva, ascoltare, capire il linguaggio del corpo e approfondire il modo in cui gli utenti rispondono e reagiscono a ciò che hanno creato, e che sono aperte al feedback, ecco queste persone otterranno dei successi.
Per questo le minoranze, specialmente le persone di colore e le donne di colore partono avvantaggiate in questa carriera. Molto spesso ci troviamo a vivere situazioni in cui dobbiamo essere coscienti di come il nostro comportamento possa influenzare gli altri, dobbiamo capire come agiscono gli altri e agire noi stessi di conseguenza, anche se non vogliamo. Fin da piccoli siamo abituati a farlo e quando interiorizzi questo processo e lo traduci nel tuo lavoro quotidiano di design, alla fine diventa naturale.
Create: Hai parlato in maniera schietta dell’inclusività nel tuo settore. Senti la pressione di dover essere una sorta di portavoce, semplicemente perché sei una donna di colore nel mondo della tecnologia?
Patterson: Sappiamo bene che il colore della nostra pelle si riflette ogni giorno in ogni attività che svogliamo, quindi l’intersezione tra le mie origini e la mia professione è sempre presente nella mia mente. La mia carriera oramai è consolidata e sono arrivata a un punto tale che inizio a sentire un senso di colpa se non restituisco qualcosa alla comunità o non la coinvolgo nei miei successi. Non è un senso di colpa opprimente, ma mi sento di dover trovare un equilibrio da preservare. Per noi neri c’è anche la questione di dover parlare a tutti della nostra esperienza. Non vorrei dire nulla di sbagliato o offensivo, ma credo anche molto nella forza delle proprie opinioni e nel far sentire la propria voce. D'altra parte però non sempre voglio parlare di diversità, per quanto sia importante, ma vorrei anche parlare della mia professione, delle mie passioni e dei miei interessi. Il colore della pelle, in aggiunta a tutto il resto, è fantastico e va tutto bene, ma a volte secondo me cadiamo nella trappola di essere costretti a parlare della diversità e di come poter risolvere questo o quell’altro aspetto. Sono però questioni enormi che non è detto siamo sempre pronti a saper risolvere.
Maya Patterson è stata moderatrice del filone "Engineering and Design" in occasione della conferenza Afrotech di novembre 2017.
Create: Dovrebbe essere ovvio, specialmente in un modello top-down: il prodotto sarà migliore se realizzato con un team composto da persone con mentalità diversa. Che ne pensi?
Patterson: Non è una cosa negativa dimostrare che la tua attività trae vantaggi da un team composto da mentalità diverse ed è snervante, arrivati a questo punto, che alcuni leader del settore considerati super intelligenti non lo capiscano. Non è una questione su cui si può discutere, è un dato di fatto. Per me è sconvolgente anche solo doverne parlare. Se quando sei a tavola ti guardi attorno e vedi soltanto uomini, o uomini bianchi, o persone bianche, probabilmente c’è qualcosa di sbagliato che dovresti cercare in tutti i modi di cambiare. È anche frustrante per qualsiasi persona proveniente da una minoranza dover costantemente ripetere questo aspetto, ma io lo farò.
Avvicinare le minoranze sottorappresentate, in particolare i neri, al design è una mia grande passione. È difficile, ma ogni giorno diventa un po’ più facile, perché sempre più persone sembrano conoscere e capire questo settore. Ci sono centinaia di corsi di istruzione ora incentrati sulle materie scientifiche STEM, molto ricercate e su cui dovremmo continuare a investire, ma credo ci sia un livello ulteriore di approccio alla progettazione a cui potremmo far avvicinare i bambini già in tenera età. Oltre a mostrare loro che si tratta di un settore dove poter lavorare da grandi, non un lavoretto da quattro soldi, uno che garantisce una retribuzione, magari questo mondo può contribuire a orientare le loro idee sul mondo.
Create: Come hai scoperto il design di prodotto?
Patterson: Mia madre è proprietaria di una società di consulenza tecnologica, ma ho dato sempre per scontato il suo lavoro. Non è mai stata molto incline nei confronti dei dispositivi, semplicemente era brava nella direzione aziendale e delle persone. La consideravo un’imprenditrice, cosa straordinaria per me ma assolutamente lontana dalle mie competenze, non sarei mai riuscita a diventare una supereroina come lei.
Maya afferma: “Per trovare le idee giuste, i miei strumenti preferiti sono sempre carta puntinata e penna”.
Mio padre era un DJ e credo di aver ereditato dal suo interesse musicale la mia passione per i dispositivi. Da piccola sono cresciuta in un ambiente ricco di stimoli, che solo ora mi rendo conto di quanto fosse diverso da quello di molte persone, ma comunque mai in un modo tale da conoscere o da associarlo al mondo della progettazione.
Poi è uscito l’iPhone e la prima volta che l’ho toccato con mano ero davvero estasiata. Mi è servito del tempo per capire cosa fosse quella mia grande passione e interpretarla come interesse per la user experience.
Create: Com’è stato il processo di scoperta e approfondimento di questo interesse, che poi si è tradotto in una carriera?
Patterson: Il momento in cui ho cercato di comprendere i miei sentimenti nei confronti dell’iPhone - sembra assurdo da dire ma davvero ero estasiata da questo dispositivo - è stato anche lo stesso momento in cui ho capito che non mi riconoscevo più negli studi o nel percorso che avevo iniziato. Mia madre mi ha presentato una donna che aveva appena assunto per svolgere architettura delle informazioni, perché diceva che molte delle mie domande erano le stesse che poneva lei nel suo lavoro. Mi sono ritrovata al suo fianco durante l’estate ed è così che sono approdata nel mondo dell’UX.
Create: Quindi ci sono state alcune persone chiave che ti hanno influenzato in maniera significativa nel tuo percorso creativo. Quanto è importante per te avere la possibilità di intraprendere e seguire questo tipo di relazioni con i mentori?
Patterson: Il mentoring secondo me è un argomento significativo, in particolare per le persone costantemente sottorappresentate che non riescono a essere negli stessi posti dove di solito si trova un mentore.
Per me il mentoring si declina in varie categorie. Da un lato ci sono gli insegnanti a cui ispirarsi in termini di competenze: visual design, profonde competenze di ricerca sugli utenti, codice, sostanzialmente tutto ciò che vorresti perfezionare. Puoi affiancarti a chiunque riesci a conoscere facilmente, online o di persona, e porre loro delle domande o copiare le loro tecniche. Poi ci sono i life mentor, che non necessariamente appartengono al tuo settore, ma sono soltanto persone che si prendono cura di te e del tuo successo, possono essere amici, familiari, compagne di università o di volontariato, chiunque.
Mi piace anche circondarmi da persone che mettono in dubbio le mie idee. I miei amici non lavorano nel mio stesso settore e mi tengono al corrente di tutto ciò che avviene nel mondo, dall’istruzione alle politiche fino alla raccolta fondi, mi aiutano a coltivare il mio pensiero.
Per farla breve, voglio dire che solitamente le persone considerano la relazione con un mentor come molto formale, ma in realtà si tratta davvero di una relazione tutta da costruire. Dal punto di vista della persona che impara, ciò significa che bisogna dialogare e porre domande, conoscere il potenziale mentore, spiegare il proprio percorso attuale e dare informazioni. Quasi sempre si trova una persona disposta a condividere le proprie esperienze, ma bisogna anche farle capire come può essere di aiuto.
Create: Quali altri consigli daresti ai principianti che desiderano immergersi e navigare in questo settore?
Patterson: L’UX è ancora in una fase in cui si può imparare strada facendo, una sorta di isola felice dove navigare da autodidatti o con programmi più strutturati sull’interazione uomo-computer (HCI), ma mi spingerei quasi a dire che un tirocinio è obbligatorio. Personalmente non avrei appreso nessuna delle competenze che mi servono nel lavoro senza i miei tirocini. Se invece si cerca un lavoro a tempo pieno, occorre ricordare che anche se all’inizio si percepisce una retribuzione base, nel giro di tre mesi potrebbe tranquillamente trasformarsi in un salario più consistente. Mi è stata offerta una posizione lavorativa a tempo pieno al termine di tutti i tirocini che ho fatto.
Molte aziende cercano tirocinanti, ma non sono pronte ancora per aprire una posizione lavorativa. Se ti interessa un’azienda, solitamente basta contattarla e chiedere se accetta tirocinanti, e generalmente la risposta sarà positiva.
Create: In un settore in evoluzione, cosa si prova a dover costantemente tenere il passo della tecnologia, che cambia di continuo, ma anche a cercare di perfezionare quella stessa tecnologia e quelle stesse esperienze?
Patterson: Nel mondo della tecnologia sei sempre fra due fuochi: da un lato vuoi anticipare le novità future, dall’altro vuoi anche migliorare i tuoi lavori e creare cose pertinenti al momento presente. È un equilibrio.
Io tendo a riflettere troppo, perciò nel corso degli anni ho imparato a ridurre le fasi di ricerca e analisi, perché le informazioni sono davvero tantissime e può esserci un sovraccarico. Per risolvere questo problema spesso chiudo il browser, metto Sketch a tutto schermo e cerco di far uscire qualcosa. A volta bisogna veramente spegnere tutto e concentrarsi su se stessi.
Create: Quali altre attività ti aiutano a concentrarti e ritrovare le energie?
Patterson: Osservare i giovani, perché sono loro che trasformeranno il mondo domani. Ho la fortuna di avere un fratello minore di 17 anni, della Generazione Z, con cui ho un ottimo rapporto, tanto che mi permette di seguirlo su Snapchat. È interessante vedere come lui e i suoi amici utilizzano questo prodotto rispetto a me, mi permette di avere una prospettiva sui giovani di oggi,
osservare il comportamento di altre persone diverse da me. Non sarà esattamente utile per capire come sviluppare un sistema o un’interfaccia, ma mi espone a delle cose in cui potrei approfondire l’aspetto del design, mi porta a pensare a possibili ambiti in cui intervenire per cambiare qualcosa, e questo mi entusiasma.
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18 gennaio 2018